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Una storia vera - Parte terza

Una storia vera - Parte terza

Dopo il nostro precedente incontro, un giorno suor Ines si presentò in classe poco prima della fine delle lezioni e chiese alla professoressa di scienze di permettermi di allontanarmi. La professoressa di scienze acconsentì, così feci la cartella e mi avviai con suor Ines lungo il tragitto che ci condusse sino al suo alloggio.
Giunti al suo alloggio, suor Ines insisté perché ci mettessimo su un divanetto in velluto cremisi che, devo ammetterlo, era molto comodo ma che date le sue ridotte dimensioni ci obbligava a stare molto vicini sino a che le nostre ginocchia si toccavano. Ero un po’ a disagio ma tutto sommato sopportabile.
Suor Ines iniziò con l’introdurmi alla natura dell’uomo. Disse che Dio aveva creato l’uomo e la donna volutamente a propria immagine affinché fossimo una specie privilegiata quanto a bellezza ed intelligenza rispetto alle altre creature che popolano il mondo.
La donna, proseguì, è stata creata con fattezze e caratteristiche tali da renderla irresistibile all’uomo. Mentre l’uomo è stato creato facendogli albergare un desiderio irrefrenabile per la donna. La donna, per converso, avrebbe avuto un desiderio di farsi ingravidare mentre l’uomo avrebbe avuto il seme con cui ingravidarla e insieme avrebbero fatto prosperare la loro discendenza.
Tuttavia, disse la suora, l’intelligenza dell’uomo e della donna li ha presto condotti fuori dai dettami di Dio e della natura perché hanno presto compreso che la sessualità, originariamente data loro per fini riproduttivi, poteva essere praticata anche per il solo fine di trarne il piacere. Un piacere immenso di cui entrambi sentono perennemente la mancanza.
La donna, mi spiegò, alterna la fecondità del proprio ventre alla sua sterilità in un ciclo che si ripete con la cadenza delle fasi lunari. L’uomo, al contrario, produce continuamente la sostanza seminale che occorre alla femmina in modo da essere sempre pronto ad espellerla nel suo ventre e fecondarne gli ovuli per concepire. Questo meccanismo è stato nel tempo stravolto per l’intervento del diavolo che ha indotto gli uomini a peccare con le donne sino ad inorridire Dio.
Mi narrò dell’episodio biblico dell’annientamento di Sodoma e Gomorra. In particolare, si soffermò sul triste fato della città di Sodoma i cui abitanti per primi al mondo compresero che il sesso anale poteva dare loro le medesime soddisfazioni di quello vaginale ma senza correre il rischio di procreare accidentalmente.
Suor Ines si accorse dell’espressione interrogativa e vagamente inorridita che feci quando, a soli quattordici anni, sentii per la prima volta parlare di sesso anale. Le chiesi che mi aiutasse a capire meglio e lei non esitò a spiegarmi tutto quello che, secondo lei, dovevo sapere.
Mi disse che il sesso anale consisteva nell’introdurre il pene eretto nell’ano della donna e ivi spingerlo fino a farlo entrare completamente. Mi disse che questa pratica, se fatta con le dovute cautele, poteva donare ad entrambi i partner un immenso piacere che poteva surclassare di molto quello che si provava con la normale penetrazione vaginale.
Lei mi disse che sicuramente mi stavo chiedendo come facesse a sapere una cosa simile in quanto alle suore sarebbe vietato avere comportamenti sessuali e, tantomeno, indulgere nella sodomia.
Così mi raccontò di avere avuto esperienza di sesso anale al tempo in cui era una novizia nel convento di ... Aveva appena diciannove anni quando giunse al convento di …, lì ogni settimana giungevano i padri … a fare visita e a recare i frutti del loro lavoro di artigiani, oltre a svolgere preghiere con le suore.
Tra loro vi era un frate che tutte avevano soprannominato frate satiro. Era così soprannominato perché aveva un appetito sessuale insaziabile e perché era dotato di una nerchia grossa come quella di un mulo. A suor Ines era giunta voce che frate satiro prediligeva le giovani suore, specie le novizie, per incontrarle in segreto nella sua cella e per somministrare loro la sua nerchia. Correva anche voce che fra satiro lo mettesse nel culo delle sue giovani prede per potervi scaricare il proprio seme senza disperderlo invano commettendo peccato di masturbazione ma al contempo senza rischiare gravidanze indesiderate della ricevente. In pratica, fra satiro inculava giovanissime suore per usarle come recipienti ove scaricare il proprio seme.
Nel corso di una delle visite dei frati, suor Ines era stata scelta per sostituire una sorella di cui il satiro si era particolarmente invaghito ma che non poteva essere presente alle “preghiere” private perché ancora indisposta dalle intemperanze dell’uomo che aveva recentemente abusato oltre misura della sventurata.
Con le mani tremanti, suor Ines mi descrisse frate satiro come un uomo di presenza possente, dotato di uno sguardo penetrante e di un fascino indiscutibilmente magnetico dovuto all’oscurità del suo animo.
Suor Ines fu subito notata da frate satiro che la volle con sé in preghiera privata. Suor Ines fu portata nella cella riservata del frate come un agnello sacrificale per il ben noto principio del “meglio te che me”. Quando furono soli frate satiro fece inginocchiare la giovane Ines su un inginocchiatoio in legno scuro. Le venne chiesto di recitare i santi uffizi. Mentre lei pregava, lui le sollevò la gonna della veste scoprendole le terga. Poi afferrò le mutandine della giovane e con un gesto repentino gliele strappò di dosso. Ines cacciò un urlo e l’uomo calò un ceffone sul culo della malcapitata sibilandole di continuare la preghiera. Lei obbedì tremante. Lui le spalmò un unguento tra le natiche e con le grosse dita le penetrò il sedere rendendo l’orifizio umido e scivoloso. La voce pregante di Ines era interrotta da gemiti e sospiri quando si voltò e vide quel pene enorme che fuoriusciva dalla tonaca di quel mostro. Era un cazzo enorme e scuro sormontato da una cappella rotonda e gonfia, da essa fuoriusciva una gran quantità di una bava trasparente. L’uomo faceva scorrere la pelle scrollandoselo per indurirlo al punto da riuscire a fare breccia nell’ano duro e stretto della giovane. Il frate appoggiò quella enorme cappella sullo sfintere di suor Ines e ve la premette forzando quell’ingresso teso. Suor Ines fu invitata a spingere contro quell’intruso in quanto per non sentire dolore era fondamentale assecondare ed accogliere la penetrazione. Così ella fece e spinse contro quel palo robusto che presto si introdusse all’interno dell’ano. Lì fra satiro si arrestò per dare modo al corpo della giovane Ines di abituarsi e allargarsi per accogliere quell’inaspettato visitatore nelle sue viscere. Il sedere si fece presto più morbido e rilassato tanto che suor Ines iniziò persino a sentire piacere per quella sensazione di pienezza che percepiva. Il satiro riprese perciò a spingere con rinnovata veemenza e, agevolato dal miracoloso unguento, il cazzo si insinuò profondamente nella ragazza impalandola sino a che la pancia del sodomita non permise di proseguire oltre.
Suor Ines aveva la fronte imperlata di sudori freddi e credette di svenire quando il satiro le fu completamente dentro al culo. Si sentiva quella cosa dura che esercitava una pressione enorme nel suo retto tanto che iniziò a godere di quella pienezza. Frate satiro iniziò a indietreggiare piano mentre suor Ines, che non riusciva più a leggere le preghiere, gemeva per il male e ne godeva allo stesso tempo. Quando ella si fu abituata un po’ all’enorme appendice, cominciò a percepirne ogni minimo scorrimento, sentiva ogni vena, ogni minimo rilievo di quel cazzo e man mano che i minuti passavano desiderava sempre di più che accadesse quello che accadeva.
Suor Ines non era in grado di dire se lo scatenante fosse quella sottomissione oppure se era la sola sensazione fisica, oppure entrambe, ma sta di fatto che in men che non si dica ella si trovò carponi mentre il satiro la inculava come si incula una puttana ed ella venne di un orgasmo profondo e animalesco cacciando un suono gutturale che veniva dal profondo del petto. Da quel ventre le salivano ondate sconvolgenti di un piacere sconosciuto e potente anche perché proibito. L’orgasmo le causò dei violenti spasmi e quelle contrazioni le facevano sentire come ancor più grosso il cazzo che non accennava a smettere di incularla. Quel cazzo che crebbe ancora di spessore per l’orgasmo che quelle contrazioni del culo della suora provocavano nel frate che prese a sbatterlo nel culo di Ines con forza dandole colpi duri e decisi sino a quando non le scaricò nel corpo tutto il suo sperma. Lei disse di avere percepito ogni schizzo di quel seme bollente e che il frate continuò ancora a darle colpi nel culo e che quei colpi si mescolavano al calore dello sperma e che ciò le arrivò alla testa come un nuovo sconquasso e se ne venne una seconda volta che fu ancora più violenta e duratura della prima.
Faticando a comprendere e, tantomeno, ad accettare che degli uomini potessero godere in un simile modo. Suor Ines mi spiegò che la sodomia era tanto invisa a Dio proprio perché è una sessualità fine a sé stessa e fatta per il solo piacere egoistico di avere l’orgasmo in quanto con essa è impossibile la procreazione. Per tale motivo è vietata dalla legge morale della Chiesa, in quanto è una sessualità fatta per il solo piacere ed è pertanto causa di lussuria, superbia e vanità. Lussuria per ovvie ragioni, superbia perché l’uomo sovverte in tal modo le leggi della natura che Dio gli ha dato a proprio piacimento, vanità perché il piacere è dato e ricevuto ponendo sé stessi al centro di esso e solo per soddisfarsi egoisticamente i propri bisogni animaleschi.
Io ero confuso, come aveva fatto suor Ines a conciliare i suoi principi e la propria fede con quello che le era accaduto? Lei mi spiegò con voce sommessa che dopo essere stata inculata da frate satiro non fu in grado di camminare diritta per due giorni e dovette zoppicare per altri tre. Per lenire l’infiammazione dovette farsi fare dei clisteri di una sostanza a base di calendula e fu dispensata dalla preghiera del mattino fino a quando non si riprese completamente. Tuttavia, ella non riusciva a pensare ad altro che a quell’enorme cazzo che la scopava nel culo. Non vi era una singola notte in cui ella non desiderasse di essere nuovamente sodomizzata e quel desiderio era talmente potente che la fica le faceva persino male. Ogni notte i suoi umori scorrevano così abbondanti da lasciare vistose macchie sulle lenzuola. Spesso suor Ines veniva assalita da pensieri talmente impuri da non riuscire più a domare i propri istinti tanto che si riduceva a toccarsi la passera sino all’orgasmo. Ma nessuno di quegli orgasmi riusciva a placare la sua voglia perché nessuno sfregamento della fica riusciva a colmare quel vuoto abisso di desiderio che albergava nel suo culo da giorno in cui venne violato da frate satiro.
Io ero in uno stato pietoso. Il cazzetto mi era venuto duro e si vedeva formare una “punta” nei calzoncini di tela leggera. Suor Ines proseguì dicendomi che la responsabilità della mia erezione era quel liquido chiaro e denso che avevo spruzzato quel giorno in cui mi tirò la pelle della cappella. Era quella pressione nei lombi, che scoprii essere i testicoli, che generava quell’indurimento. L’erezione non era altro che la manifestazione del desiderio del mio corpo di espellere il seme per fecondare una donna. Suor Ines mi disse però che quello era il peccato perché quel desiderio mi avrebbe fatto macchiare l’anima mediante la masturbazione che avrebbe disperso il mio seme invano come peraltro era già accaduto sebbene per accidente e quindi senza un vero peccato.
Suor Ines mi disse che doveva essere posto rimedio a quello stato perché non fossi indotto a peccare nella solitudine del mio letto, magari ripensando al racconto delle sue vicissitudini con frate satiro. Così mi fece alzare e mi invitò a calare i pantaloncini e le mutande. Io mi prestai di buon grado se ciò avesse contribuito a far smettere quella sofferenza e insofferenza che mi derivava da quell’erezione che non accennava a smettere. Mi trovai in piedi con il cazzo in tiro, duro come pietra, puntato verso suor Ines che con fare materno si fece appresso abbassandosi verso di esso. Con la mano me lo toccò accarezzandolo e così facendo mi causò dei brividi e una certa mollezza delle ginocchia che faticavano a reggermi dritto. Me lo prese e lo scappellò delicatamente fino a quando la pelle non fu tesa come quella di un tamburo e gemetti sospirando. La pelle era ancora attaccata alla cappella e questo mi provocava una certa sofferenza, ma meno della volta precedente. Notai anche che il cazzo mi sembrava decisamente più grosso rispetto alla prima volta e ne fui segretamente orgoglioso. A quel punto suor Ines mi disse che mi avrebbe dato sollievo ma che non avrei dovuto per nessun motivo resisterle e che avrei dovuto lasciarmi andare qualunque cosa mi stesse accadendo. Io assentii impaziente di essere sollevato da quella tensione.
Con mia somma sorpresa, suor Ines me lo prese in bocca. Con una mano mi teneva stretti i testicoli e con l’altra mi cingeva il fianco fin dietro la schiena immobilizzandomi affinché non mi potessi sottrarre indietreggiando. La sua testa calò sul mio pene, la sua bocca si aprì e lo accolse al suo interno fin quando le labbra non toccarono la mia pancia. Mi trovai con il cazzo completamente infilato nella bocca di suor Ines che lo ingoiava per tutta la sua lunghezza. La sensazione era indescrivibile, sentivo il pene circondato dall’abbraccio caldo e umido di quella bocca, la lingua della donna che avvolgeva la mia asta, la cappella che spingeva dentro quella gola stretta e scivolosa. Caddi incapace di reggermi in piedi. Lei mi fece sdraiare sul divanetto mi allargò le gambe e si mise in ginocchio davanti a me. Fece il segno della croce come a benedire quello che stava per fare. Mi tenne il cazzo dritto davanti a sé guardandolo e mi disse che era singolarmente grosso per uno della mia età. Ne fui inorgoglito, ma quell’orgoglio cedette presto il posto alla lussuria quando ella se lo infilò nuovamente in bocca fino in fondo come prima. Stette ferma per qualche istante assaporando e facendomi assaporare quel momento, poi sollevò lo sguardo incontrando i miei occhi per accertarsi che stessi guardando quel peccato mentre si svolgeva. Suor Ines iniziò a succhiarmi il cazzo e percepii ogni sfaccettatura di quel movimento, il risucchio e la stimolazione della lingua e il tutto senza distogliere lo sguardo dai miei occhi. Fu troppo e non seppi e non volli resistere anche perché mi sarebbe stato impossibile. Così feci come richiesto e me ne venni spruzzando fuori tutto il mio seme che lei accolse senza mai smettere di succhiare ma, anzi, introducendoselo ancor più in fondo nella gola. Pensai a quanto avevo schizzato la volta precedente e immaginai che quella fosse la stessa enorme quantità di sperma che suor Ines stava ora ingoiando. La suora gemette rumorosamente mentre le venivo in bocca e pensai che quel mugugno violento indicasse che anche lei stava venendo a suo modo. Immaginavo che avesse infilato la mano sotto la pesante gonna, che poi avesse insinuato le sue dita affusolate sotto l’elastico delle mutandine per poi scorrere tra le pieghe della fica bagnata sino a venire nell’esatto momento in cui io le scaricavo nella bocca e giù per la gola il mio sperma bollente.
Restammo a lungo immobili. Lei aveva la testa appoggiata sulla mia gamba, il cazzo ancora grosso appoggiato sulle sue labbra sporche di sperma, una traccia del mio seme lungo la sua guancia mentre io, incapace di muovermi, mi interrogavo se quello che stavo provando in quel momento fosse l’amore che si prova per una donna o solo il desiderio di essa.
La catechesi proseguì, naturalmente. Son molto combattuto se raccontare o meno quello che accadde in seguito anche se molti di voi avranno già capito dove saremmo andati a parare. Fatemi sapere se vorrete che prosegua nella narrazione.
Published by Devils_lawyer
1 month ago
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